Vigilantes, forze dell’ordine e pistole: l’opinione politically scorrect di Penelope Giorgiani

28 Mar

fotoPISTOLAOgni giorno nelle pagine di cronaca capita di leggere di rapine a mano armata perpetrate  ai danni di esercizi commerciali come banche e supermercati. A volte però capita che sul posto si trovi qualche appartenente delle Forze dell’Ordine fuori servizio il (o la) quale decide di intervenire e ne può nascere un conflitto a fuoco in cui magari i malviventi rimangono feriti o uccisi. Certamente si svolgono accertamenti su come sono andati i fatti ed è probabile che l’agente o il militare protagonista riceva un encomio o una medaglia, venendo indicato come esempio di dedizione e senso del dovere. Capita invece che l’epilogo sia ben diverso quando episodi analoghi hanno come protagonista una guardia giurata, un vigilantes come si dice spesso – sbagliando tra l’altro. Per chi fosse totalmente a digiuno di nozioni giuridiche in materia, si tratta di privati cittadini dipendenti da un istituto di vigilanza ai quali viene rilasciato un porto di pistola per esclusiva difesa personale  diversamente dalle Forze dell’Ordine che possono usare l’arma per attaccare (si pensi a una irruzione ad armi spianate durante un sequestro di persone). Che cosa accadrà alla guardia giurata  – fuori servizio come anche nello svolgimento dello stesso – che trovandosi in quella situazione si trova minacciata (o ritiene di esserlo) dalle armi dei banditi e fa fuoco? Una risposta eloquente può fornirla una semplice ricerca in rete, inserendo nel motore di ricerca le parole “guardia giurata condannata”. Si avrà così conoscenza di svariati casi nei quali l’epilogo di fatti del genere è stato un procedimento penale a carico dell’addetto alla sicurezza, conclusosi con una condanna a vario titolo (dalle lesioni all’omicidio volontario): il che vuol dire ingenti sanzioni pecuniarie (al punto da dover vendere casa), una pena detentiva (con il rischio di vendette in carcere da parte di delinquenti abituali) e ovviamente la perdita del lavoro (venendo meno il requisito della condizione di incensurato) oltre alle spese per l’avvocato. Uno degli episodi più recenti è stata la condanna a un anno di reclusione e al pagamento di diecimila euro inflitta alcune settimane fa a una guardia giurata triestina che durante una rapina – avvenuta qualche anno prima – aveva sparato all’automobile dei banditi, uno dei quali era rimasto ferito dai frantumi di un finestrino e si era costituito parte civile. Notizie simili lasciano puntualmente interdetta parte dell’opinione pubblica che le percepisce come una presa in giro, una giustizia al rovescio con i rapinatori che appaiono premiati da un risarcimento e il vigilante punito severamente oltre che segnato drammaticamente  sia dal conflitto a fuoco che dal lungo processo, vissuto come un vero calvario da chi non è avvezzo a frequentare il banco degli imputati. Chi è più addentro ai tecnicismi  tribunalizi obietta invece che ci saranno stati procedimenti separati – una cosa è la rapina e un’altra la reazione a fuoco – che quello riguardante la guardia giurata era in pratica un atto dovuto al verificarsi di certi presupposti e che il giudice ritenendone spropositata la reazione armata ha solo applicato la legge: per farla breve, insomma, avrebbe fatto bene a condannare il vigilante. Il fatto è che il giudice in quanto tale (si tralascia qui il discorso sulla pubblica accusa, forse troppo spesso incaponita a ottenere condanne) non è un distributore automatico di sentenze, è un essere umano – si suppone preparato – ma proprio per questo non è onnisciente (quindi classifica determinati avvenimenti senza avervi assistito) e soprattutto può essere formato in base a una cultura per la quale l’uso delle armi da fuoco da parte di chi non fa parte delle Forze dell’Ordine equivale sempre e comunque a una “giustizia fai da te”, una sorta di Far West che va contrastato a prescindere dall’emergenza nella quale si fosse trovato chi ha premuto un grilletto. Purtroppo analizzare e scomporre un fatto a freddo è una cosa, trovarsi coinvolti nella concitazione dello stesso – in cui le azioni si accavallano frenetiche – un’altra. Gli addetti ai lavori sosterranno che qualcuno dovrà pur prendere una decisione. Ma forse, pensano l’uomo e la donna della strada, a stridere col buon senso e a suonare stonato non è solo la sentenza di condanna ma lo stesso processo nato da un episodio criminoso il cui autore non era certo la guardia privata.

Penelope Giorgiani

2 Risposte to “Vigilantes, forze dell’ordine e pistole: l’opinione politically scorrect di Penelope Giorgiani”

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